Pandolce genovese

Una ricetta tutta da gustare…

Dicembre 7, 2020

Il Pandolce

Chi mi conosce bene sa quanto io ami la Liguria, la sua terra, il suo mare, i suoi sapori, i suoi profumi, le storie che la riguardano e che non manco mai di farmi raccontare ogni volta che vado a farle visita.
La Liguria è anche la terra natale di Gina, nata il 17 maggio 2008 a Cairo Montenotte (Savona) e quindi, in fondo in fondo, BarbaGina è anche un pochino ligure.
Il pandolce (pandoçe zeinése), insieme alla focaccia (fugassa), sono tra le cose che non smetterei mai di mangiare.
Il pandolce viene chiamato anche panettone genovese, perché comune durante le feste natalizie, (ma le pasticcerie genovesi ne sono sempre fornite) ed esiste sia nella versione bassa che in quella alta.
Diverse sono le storie sulla sua origine, pare addirittura che il doge Andrea Doria nel 1500 avesse indetto un concorso tra i pasticceri genovesi per creare un dolce atto a divenire il simbolo della città (la Superba) e che avesse come caratteristica fondamentale la lunga conservazione, dato che bene avrebbe dovuto adattarsi ai lunghi viaggi in mare.
Lo storico Luigi Augusto Cervetto, invece, ci rimanda addirittura fino in Persia. Pare che il pandolce sia una “rivisitazione” di un antico dolce persiano (il pane con lo zibibbo?), che arricchito di canditi e mele veniva offerto al re di Persia da un fanciullo il primo giorno dell’anno. Tradizione questa, che arriva fino ai giorni nostri, perché tradizione vuole che il pandolce venga portato in tavola dal più giovane dei commensali (con un rametto di ulivo o di alloro infilato al centro) e affettato dal più anziano; mentre la madre recita la seguente preghiera:

“Vitta lunga co sto’ pan!
Prego a tutti sanitae,
comme ancheu, comme duman,
affettalu chi assettae,
da mangialu in santa paxe,
co-i figgeu grandi e piccin,
co-i parenti e co-i vexin,
tutti i anni che vegnià,
cumme spero Dio vurria.

(Vita lunga con questo pane!
Prego per tutti tanta salute,
come oggi, così domani,
affettarlo qui seduti,
per mangiarlo in santa pace,
coi bambini grandi e piccoli,
coi parenti e coi vicini,
tutti gli anni che verranno,
come spero Dio vorrà.

Questa pagnotta rappresenta quindi la speranza di una vita lunga e felice sotto la protezione di Dio. Speranza che deve essere condivisa anche con i più bisognosi, ragione per cui la prima fetta va tenuta da parte per i poveri e un’altra va conservata fino al 3 febbraio per onorare San Biagio, quando ogni membro della famiglia ne riceve un boccone.
L’ultima volta che che sono stata a Genova con la mia amica Stefania (www.lafinestradistefania.it), il libro che ho messo in valigia al mio rientro è stato “Lievitati di Liguria dolci & salati” di Ilaria Fioravanti (www.dallecrosealmare.it) e Valentina Venuti (www.valentinavenuti.it) ed. Sagep e il pandolce che vedete nella foto è il risultato del mio lavoro seguendo passo passo la loro ricetta del pandolce con lievito di birra (ne esiste anche una versione con il lievito madre…che proverò un’altra volta, perché quando mi sono decisa, ormai era tardi per i rinfreschi del mio lievito).
Mi è piaciuto davvero tanto prepararlo, i tempi di lievitazione non sono brevi, ma a questo ero stata adeguatamente preparata dal racconto di un signore che un giorno a Genova mentre ero intenta a gustarmene una fetta, ha iniziato a raccontarmi la storia di questo dolce e anche del fatto che in tempi ormai lontani le signore che lo preparavano, per curarne bene la lievitazione, se lo portavano addirittura a letto accanto allo scaldino.
Un po’ di impegno lo richiede, ma questo dolce merita tutto il tempo e la dedizione che serve e Ilaria e Valentina nel loro libro spiegano bene ogni passaggio….un libro che, per le ricette che vi sono contenute e per la chiarezza con la quale sono descritte, ho amato fin dal primo momento, quando ho iniziato a sfogliarlo sul treno che riportava me e Stefania a casa.

Il consiglio di BarbaGina: accompagnatelo con un bicchierino di Cinque Terre Sciacchetrà…non vi deluderà!

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